Nel 2005 l’amministrazione comunale di Folignano (AP) stava
realizzando una struttura in località Case di Coccia, un edificio a due piani in parte sottostrada, coperto da una terrazza e con un piccolo giardino
attrezzato con giochi per bambini.
I locali coperti sarebbero serviti per accogliere attività aggregative come conferenze ecc. con una sala appositamente
attrezzata, mentre la terrazza, trovandosi a livello stradale ed affacciandosi sul
sottostante pendio attraversato dal torrente Marino, avrebbe
costituito un belvedere e si sarebbe prestata per attività ludico-ricreative all’aperto, essendo stato previsto di delimitarla con una gradonata, per
accogliere spettacoli e manifestazioni da tenersi nella bella stagione.
La superficie della terrazza, di circa 300 m², rimanendo sostanzialmente sgombra si
sarebbe prestata ottimamente come quadrante solare (fig.
1), esposta come sarebbe stata, vista la sua collocazione.
Pertanto, trovandosi il nostro studio in ottimi rapporti con l’amministrazione e l’ufficio tecnico
del comune di Folignano, non perdemmo l’occasione, una volta saputo
dell’intervento in corso ed essendo ancora in tempo, per proporre un’integrazione al progetto corrente, una modifica tutto sommato “incruenta” che avrebbe
richiesto soltanto l’inserimento di un elemento verticale (lo gnomone) a margine della piazza ed un diverso disegno nella
pavimentazione in porfido già prevista, senza stravolgere
gli spazi o interferire con l’uso previsto per la struttura.
Così, descritta prima verbalmente poi con un
progetto preliminare ed un bozzetto (fig.
2) la nostra idea al sindaco e ai tecnici, incontrato il loro apprezzamento
e verificata la fattibilità sia tecnica sia economica della nostra idea, ricevemmo l’incarico formale di progettare un quadrante solare monumentale per la
terrazza, che inserendosi in uno spazio già destinato ad attività ricreative e culturali ne avrebbe accresciuto la valenza anche didattica, mostrando a
tutti, non solo ai bambini, il significato dei cicli diurno e stagionale messi in moto dal Sole in cielo.
Dunque senza perdere tempo prezioso ci mettemmo al lavoro e sviluppammo il nostro progetto, che prevedeva un quadrante costituito da:
un orologio ad ore
moderne (intervallate da mezz’ore) vere e locali (indicate da numeri indo-arabi, incastonati come dischi in pietra tra le linee)…
… da correggere in ore civili (medie e del fuso) con l’equazione del tempolocalizzata (tracciata in un
apposito pannello insieme a sintetiche istruzioni d’uso dello strumento per i profani),
da un orologio pseudo-italico, cioè con le
linee numerate (con cifre indo-arabe) a ritroso per indicare quante ore mancano al tramonto,
da un calendario stagionale e zodiacale (con le linee
diurne contrassegnate dai simboli stilizzati, dai nomi e dalle relative date
medie)…
… e con l’aggiunta della linea diurna che
avrebbe scandito la data della festa patronale (19/9, san Gennaro),
nonché funzionante come bussola, indicando i quattro punti cardinali
grazie al meridiano ed al parallelo locali.
Non fu ritenuta necessaria la presenza di un motto, elemento che invece si trova spesso in queste opere.
Il progetto fu approvato appena in tempo, mentre i lavori della struttura avevano ormai raggiunto il solaio di copertura. L’accorgimento che si rese
necessario per inserire il nostro manufatto fu infatti quello di predisporre, prima della gettata (fig.
3), l’area in cui sarebbe svettato lo gnomone rinforzandola con due cordoli trasversali.
La prima operazione da compiere una volta che fosse stata disponibile la superficie del quadrante su cui operare sarebbe stata la collocazione dello
gnomone, con le caratteristiche previste in fase di progetto ed ovviamente nella relativa posizione.
Lo gnomone sarebbe stato polare, dunque inclinato, anziché ortogonale e verticale: la sua realizzazione quindi sarebbe stata sì più impegnativa ed
avrebbe richiesto qualche accorgimento, ma nelle nostre intenzioni questo avrebbe significato una miglior lettura dell’ora (moderna) grazie
all’allineamento dell’ombra dell’intero stilo (del suo tratto polare) tra le linee sul quadrante.
Le sue dimensioni, considerando l’estensione del quadrante
ed il disegno delle linee dello schema cronometrico, lo avrebbero portato, da progetto, ad essere alto 4.50 m.
Soprattutto per motivi di sicurezza, più che per difficoltà tecniche, escludemmo di far estendere lo gnomone per l’intero tratto polare, cioè dal
centro
O dell’orologio, punto d’intersezione dell’asse polare di esso col quadrante, al punto gnomonico G, vertice dello stesso, collocato a quell’altezza sulla
piazza: vandali o ragazzini spericolati ci si sarebbero potuti arrampicare sopra mettendo a rischio la loro incolumità oltre alla stabilità dello strumento.
Perciò scegliemmo, come spesso si fa, di materializzare solo il tratto polare superiore dello gnomone, più o meno da metà lunghezza fino all’estremità del punto
gnomonico, e concepimmo che si sviluppasse come un tratto costituito da una trave obliqua in cemento armato, di sezione quadrata (30 cm × 30 cm), che proseguisse poi con un
tubo di ferro (ø 20 cm) ed una sfera terminale (ø 40 cm); il tutto retto da due
pilastrini in c.a. (30 cm × 30 cm) su cui avrebbe appoggiato la trave; alla base di questa forcella un sedile in
pietra (fig. 4).
Dunque una volta ultimato il solaio di copertura, completatane la gettata, potemmo impostare l’erezione dei pilastri che avrebbero retto lo gnomone.
Per prima cosa
fissammo sul solaio la posizione del baricentro del pilastro nord, grazie ad alcuni punti chiave
scelti allo scopo in planimetria, quindi individuammo con la massima cura il meridiano locale passante per quel punto, potendo così posizionare, 80
cm più a sud, anche il baricentro dell’altro pilastro.
Individuati così i punti dove collocare i pilastrini si procedette ad erigerli,
contando sul fatto che in quei due punti, sotto la soletta, correvano i due cordoli rinforzati predisposti allo scopo, come detto sopra:
si forò perciò il solaio, infiggendo quattro ferri di ripresa per ciascun pilastro, ancorati con resina per una profondità di 20 cm (come da
esecutivo di fig. 4), sui quali
legare poi le armature dei pilastri, tirandoli su (fig.
5).
Una volta eretti i pilastri, provvedemmo a modellare la trave obliqua di raccordo, che si sarebbe dovuta venire a trovare naturalmente all’altezza prevista da progetto
(tenendo conto ovviamente degli spessori aggiuntivi dell’isolamento, del
massetto, della pavimentazione che avrebbero aumentato la quota finale di
oltre 20 cm), ma che, condizione ancor più delicata ed imprescindibile, avrebbe dovuto avere un orientamento ben preciso.
Infatti raccordando i due pilastri, allineati, come detto, col meridiano, anche la trave si sarebbe dovuta sviluppare in direzione nord-sud ma soprattutto sarebbe dovuta “svettare” verso nord salendo rispetto al piano orizzontale di un angolo pari alla
latitudine locale, cioè 42.8°, per mantenersi parallela (come lo gnomone che avrebbe accolto in seguito) all’asse polare terrestre (fig. 4).
Pertanto massima cura fu impiegata nell’armare e “casserare” la trave obliqua, che venne gettata e modellata
alla quota e con l’orientamento voluti
(fig.
6).
Mentre in cantiere si provvedeva a realizzare la “forcella” in c.a., in officina il fabbro realizzava lo
gnomone vero e proprio, costituito da un tubo e da una sfera ottenuta saldando e levigando diversi spicchi in lamiera; il tutto
per una lunghezza complessiva di 1.60 m e verniciato color bronzo
(figg. 7-8).
Lo gnomone sarebbe stato fissato alla trave avvitandone saldamente la base, costituita da una piastra opportunamente preparata
(fig. 9),
alla testa di quella (fig.
10) mediante barre filettate e dadi (figg. 11-12 e 13-14).
Come si può intuire dalle immagini precedenti la trave obliqua, sebbene
progettata a sezione quadrata di misure 30 cm × 30 cm, è stata poi erroneamente
dimensionata più alta del dovuto, circa 35 cm, in cantiere in fase di getto
del calcestruzzo: la svista, per l’appunto, ha riguardato solo la gettata,
sovrabbondante, e non il dimensionamento dell’armatura (le staffe e i
ferri longitudinali), correttamente realizzata e disposta all’interno della
sezione prevista.
Perciò, resici conto dell’errore, non è stato per fortuna difficile
correggerlo, semplicemente segando via lo strato di cemento in eccesso, i 5 cm
di estradosso, senza pericolo d’intaccare le armature interne (figg.
15-16). L’operazione si è
svolta in un paio d’ore senza particolari difficoltà, a parte le nuvole di
polvere che hanno avvolto il volenteroso operaio che si è occupato
dell’intervento…
Nel
frattempo nell’officina del
marmista si era avviata la preparazione degli elementi
lapidei e laterizi che avrebbero contrassegnato lo schema cronometrico dell’impianto
solare.
Come si può vedere dalla planimetria in fig.
2 ed ancora meglio nei disegni esecutivi delle figg.
17 e
18, avevamo previsto di “intarsiare” nella pavimentazione di riempimento in porfido i seguenti
elementi indicatori, dei quali predisponemmo così
la lavorazione:
il taglio delle lastre in Travertino Chiaro (pietra tipica della zona) che avrebbero costituito le 9 linee orarie moderne, le 9 mezz’ore e le 7 linee diurne zodiacali, con larghezze, rispettivamente, di 25 cm, 15 cm e 20 cm ed uno sviluppo lineare complessivo di circa 250 m;
il taglio e l’incisione di 9 dischi da 60 cm ø in pietra Silvia Oro per i numeri delle ore moderne ed il simbolo del nord (più uno spicchio ad indicarne direzione e verso);
il taglio e l’incisione di 12 dischi da 60 cm ø in pietra Silvia Oro per i simboli zodiacali;
il taglio e l’incisione su laterizio di 10 numeri per le linee orarie pseudo-italiche e 3 scritte per la linea diurna di san Gennaro, per il meridiano e per il parallelo locali;
il taglio e l’incisione del pannello esplicativo da 1.98 m × 1.45 m (in due lastre) in pietra Silvia Oro con le istruzioni e l’equazione del tempolocalizzata;
il taglio e l’incisione di 1 disco da 25 cm ø in pietra Silvia Oro per il nostro logo.
Nel “tessere” la maglia di linee cronometriche ci apparve chiara la
gerarchia che le varie tipologie e le
relative funzioni avrebbero assunto, in considerazione della loro
sovrapposizione, del loro intrecciarsi:
perciò le linee moderne (sia le ore intere sia le mezz’ore) sarebbero
apparse come le “superiori”, sopra a tutte le altre (interrotte
solo dai dischi numerati), in un’ideale stratificazione delle fasce;
dietro a quelle sarebbero passate le linee diurne (sia le
zodiacali sia la patronale), interrompendosi perciò contro di esse come
attraversandole al di sotto;
dietro a tutte si sarebbero distese le linee pseudo-italiche.
Considerando
lo spessore previsto per la pavimentazione in porfido tutti gli elementi da intarsio (lastre, dischi, mattoni, pannello) sarebbero dovuti essere
spessi 3 cm.
Con queste direttive il marmista portò avanti l’incisione dei singoli pezzi, lavoro completato in maniera impeccabile ed in tempi
relativamente brevi (fig. 19).
Nel frattempo avevamo “reclutato” anche la nostra brava mosaicista per discutere insieme a lei su quali materiali
usare per il riempimento delle incisioni dei vari elementi.
Così concordammo di rifinire i vari elementi come segue:
i 9 dischi coi numeri delle ore moderne e col simbolo del nord sarebbero stati riempiti a
mosaico con tessere Verde Guatemala;
nei 12 dischi coi segni zodiacali i simboli e i nomi sarebbero stati riempiti a mosaico con tessere Rosso Levanto, mentre le date
sarebbero state boiaccate;
i numeri e le scritte nei mattoni sarebbero stati riempiti a mosaico con tessere Travertino Chiaro;
nel pannello esplicativo le istruzioni nonché le scritte e le linee di riferimento dell’equazione del tempolocalizzata sarebbero state riempite a mosaico con tessere Rosso Levanto, la curva in tessere Travertino Giallo Persiano, mentre i nomi degli autori sarebbero stati boiaccati;
le scritte del logo sarebbero state riempite a mosaico con tessere colorate.
Mentre il marmista completava le incisioni dei pezzi la mosaicista ebbe così il tempo di preparare i materiali che le sarebbero serviti di lì a poco per
gli intarsi.
Quando i pezzi incisi furono pronti intervenne perciò lei a completarne la rifinitura coi mosaici (figg. 20-21).
A quel
punto tutto era pronto per stendere il quadrante a terra… o quasi.
Sì, perché è vero che la superficie del solaio era stata realizzata,
lo gnomone eretto ed allineato ed i pezzi dello schema (linee,
numeri, scritte) lavorati e pronti alla posa, ma la superficie del
quadrante vero e proprio era ancora tutta da definire e verificare.
Il fatto è che il solaio costituiva solo una
base, un sottofondo per quella che sarebbe stata poi la vera superficie del quadrante, la pavimentazione in porfido e gli inserti in pietra e mattoni dello schema; in particolare,
oltre alle altezze e agli spessori che avrebbero innalzato la quota del quadrante
(da tenere pure in considerazione), il solaio, l’estradosso della soletta era una superficie
orizzontale, condizione illusoria, da non accettare.
Sapevamo infatti che, com’è prassi, una terrazza di copertura di un fabbricato, quindi esposta oltre che al Sole anche alle intemperie e alla pioggia, avrebbe dovuto garantire il deflusso delle acque meteoriche assumendo un minimo di
pendenza, dell’ordine dell’1 o del 2% (come avviene nei comuni balconi: chi non ha mai notato la sensibile pendenza del pavimento di quelli verso il parapetto?).
Tecnicamente la soluzione sarebbe stata ottenuta stendendo il massetto dandogli la pendenza voluta e su quello posando la pavimentazione. Con il perimetro alla quota inferiore collocato verso l’esterno, lungo la strada, sarebbe stato facile raccogliere, convogliare e smaltire l’acqua piovana.
Questa superficie pendente, dunque, con un’inclinazione e una declinazione tutte da definire, sarebbe stata la superficie vera e propria del nostro
eliocronometro. Ci trovavamo pertanto in quella fase intermedia in cui avremmo potuto definire noi l’orientamento della “falda”, oppure lasciare la decisione ai progettisti della struttura, adeguandoci di conseguenza. Parlando coi tecnici si scelse questa seconda soluzione.
Per non condizionare troppo i lavori dell’impresa lasciammo che gli operai realizzassero il massetto di pendenza nella maniera più opportuna. Fu solo a lavoro ultimato che intervenimmo e riprendemmo in mano il cantiere.
Col massetto steso ora a noi non toccava altro che rilevarne la pendenza, l’entità e l’orientamento e su quei dati reimpostare il calcolo dello schema cronometrico e, prevedibilmente, ritoccare il disegno della pavimentazione. Com’è facile immaginare, infatti, il progetto preliminare era stato impostato considerando orizzontale la superficie del quadrante, ma quella condizione ormai non era più accettabile…
Ma perché tutto questo disturbo, questa preoccupazione? Se anziché orizzontale il quadrante ora
fosse diventato impercettibilmente inclinato, con una pendenza dell’ordine dell’1%, chi mai si sarebbe accorto della differenza? Di quanto si sarebbero dovute riposizionare rispetto alla prima impostazione le fasce delle ore e delle date? Di quanto sarebbero stati gli scarti, gli errori tra l’ora e la data segnate su uno schema posizionato male e quelle reali?
Naturalmente gli scarti ci sarebbero stati e sarebbero stati ben percepibili, viste le dimensioni dello strumento. E noi di quello ci preoccupavamo.
Considerando infatti come esempio la posizione della curva del solstizio d’inverno, la più lontana dallo gnomone e perciò anche la più alta, poiché il massetto avrebbe avuto il maggior spessore sul solaio proprio in quella zona (correndo la strada e le caditoie verso cui far defluire l’acqua a sud-est dello gnomone), quella sarebbe corsa diversi
decimetri più lontano del dovuto se non avessimo tenuto conto dell’inclinazione del quadrante! Diversi decimetri, non centimetri…
Insomma, avremmo commesso una grossa ingenuità a non considerare quell’1% di pendenza.
Con questa consapevolezza in mente dovevamo perciò scoprire come fosse stato steso il massetto e come fosse orientato.
Demmo perciò incarico ad un topografo di rilevarne un piano quotato (fig. 22), i cui
risultati ci convinsero dell’aver intrapreso la strada giusta, pur se con una piccola complicazione in più… Come infatti emerse dall’analisi dei risultati la superficie del massetto poteva considerarsi distinguibile in ben
due
aree, con diverse, seppur leggermente, pendenze (tra l’1.1 e l’1.5%) e diversi, più marcatamente, orientamenti.
Schematizzammo perciò, ai nostri fini, la distinzione delle due zone e le diverse pendenze e relative direzioni, ricavandone così i dati gnomonici necessari a rieseguire i calcoli con maggior precisione ed attinenza alla realtà. Come riportato nella tav. 5b del nostro progetto esecutivo (fig. 23) le due zone,
da considerare a quel punto come due distinti quadranti, benché confinanti (divisi
da una linea di compluvio orientata in direzione NNO-SSE), o come
due semi-quadranti, uno più ad ovest e l’altro più ad est, porzioni di un’area più estesa, potevano considerarsi così orientate:
semi-quadranteovest: i = +89.16°, d = −64.1°
semi-quadranteest: i = +89.35°, d = −19.9°
(Le due rette di massima pendenza tracciate in planimetria, oltre che consentire di ricavare le declinazioni, misurano la distanza
orizzontale di coppie di isoipse con un dislivello di 10 cm, permettendo in questo modo di ricavare anche le
inclinazioni: es. arctan(10/682)=0.84°, da cui, secondo la nostra convenzione,
i=90°−0.84°=+89.16°.)
Con questi nuovi, sudati valori finalmente acquisiti potemmo ricalcolare il quadrante, anzi i due semi-quadranti, che avremmo poi ricucito lungo
la comune linea di confine.
Allo scopo occorse considerare che ciascun semi-quadrante, col
proprio orientamento spaziale, avrebbe avuto rispetto allo gnomone,
comune e polare, ed in particolare rispetto al punto gnomonico G (il
centro della sfera) un proprio ortostilo, un proprio piede.
Preparammo
perciò un disegno esecutivo particolareggiato dei punti chiave (fig.
24) da usare come riferimento per non confonderci nelle delicate fasi preliminari della posa.
Ricomposta la planimetria verificammo che era sensibilmente diversa, come sapevamo, nella posizione di tutte le linee, specie quelle diurne più lontane dallo gnomone,
e nella loro lunghezza, specie di quelle orarie moderne, ma senza che questo stravolgesse il nostro progetto.
Redatto quindi
il nuovo esecutivo per il marmista, con le lunghezze definitive per
le fasce in travertino che poterono così essere tagliate su misura e
correttamente sagomate per le estremità (come anticipavamo sopra)
e quello per il cantiere (di cui uno stralcio in fig.
25), finalmente passammo alla fase concreta della posa dello schema orario e calendariale a terra, rappresentata innanzitutto dal tracciamento
delle linee-guida (gli assi di ciascuna fascia di pietra o laterizio)
sul massetto, con spago, fettuccia e vernice rossa (fig. 26).
La delicata operazione, svolta in prima persona dall’autore insieme ad un paziente operaio, si svolse in una giornata e mezza di lavoro, preferendo
evitare la fretta e l’approssimazione per un compito apparentemente banale, a favore di accuratezza e affidabilità (numerose furono le verifiche man
mano che si procedeva).
Completata
quella fase, avevamo tracciato tutti gli assi dello schema sul massetto (vedi anche la fig. 17):
quelli del meridiano e del parallelo locali, passanti per il centro O dello strumento;
quelli delle linee orarie moderne;
quelli delle linee sub-orarie moderne;
quelli delle linee orarie pseudo-italiche;
quelli delle linee diurne zodiacali e patronale;
la linea di compluvio che separava le due zone del massetto.
Con quella griglia di riferimento tracciata a terra eravamo pronti alla fase successiva: la
posa delle fasce e dei dischi.
Con i pezzi pronti in cantiere, precedentemente lavorati e preparati dal
marmista e dalla mosaicista, gli operai iniziarono a comporre una specie di
rompicapo, di mosaico di pezzi sagomati, tagliati, numerati, tutti
diversi e destinati ciascuno al proprio posto.
Seguimmo ovviamente da vicino costantemente il lavoro di posa per scongiurare errori, dirigendo e documentando le varie fasi delle operazioni, come si può
vedere da questa selezione di immagini:
Completata la posa del grigliato di pietra e mattoni dello schema orario e calendariale il lavoro più delicato poteva dirsi concluso.
Ecco in tre panoramiche come si presentava il cantiere al termine di quella fase:
Non rimaneva perciò altro da fare a quel punto che completare
la pavimentazione della terrazza con le lastre in porfido, materiale previsto fin dall’inizio, riempiendo gli spazi tra le fasce e tutto il resto della
superficie.
L’unico accorgimento da rispettare secondo il nostro progetto sarebbe stata la direzione delle file di lastre, posate a correre: considerando
tutta la superficie da coprire divisa in 24 spicchi dalla raggiera delle linee moderne (convergenti nel centro O — vedi anche la planimetria in
fig. 17), le file avrebbero dovuto correre perpendicolarmente all’asse di
ciascuno spicchio, definito dalla corrispondente linea semioraria.
E così si procedette, prima posando le lastre (figg. 36 e
37) e poi stuccando le fughe (figg. 38-39).
La pavimentazione del quadrante venne completata posando le fasce in laterizio del meridiano e del
parallelo, intarsiate con le coordinate geografiche,
il disco col nostro logo sul centro O dell’orologio e le due lastre contenenti le sintetiche istruzioni sull’uso dello strumento e l’equazione del
tempolocalizzata, poste ai piedi del piedistallo dello gnomone, appena a nord di questo ed a sud della curva solstiziale estiva.
Nell’occasione, accortici di una svista del marmista, intervenne la nostra collaboratrice mosaicista a ritoccare sul campo la lastra, in particolare
incidendo e completando a mosaico una linea dello schema.
Ultimato lo strumento cronometrico, la struttura
venne completata con balaustre, lampioncini, copertine (comprese le scossaline per la trave dello gnomone) ecc. e le superfici verticali
intonacate e tinteggiate.
Al termine dei lavori l’amministrazione volle inaugurare il complesso con una cerimonia che si tenne la mattina del 29 marzo 2008
(fig. 42), con una discreta partecipazione di
pubblico (tra cui scolaresche), durante la quale l’autore illustrò il significato ed il funzionamento degli orologi e del calendario, suscitando interesse e curiosità tra i
presenti. Al termine dell’esposizione, a cerimonia conclusa, l’autore venne intervistato da un paio di giornalisti, tra i quali la cronista di una TV
locale.
Dal punto di vista tecnico grande è stata la nostra soddisfazione nel verificare fin da subito (dalla posa delle prime lastre) l’accuratezza dello
strumento, preciso ben oltre il minuto come orologio ed entro un giorno come calendario.
Come esempio della prima funzione (orologio moderno) si consideri la foto in
fig. 43, scattata al mezzogiorno solare, quando il Sole transita al
meridiano locale.
Nella fattispecie la data era quella del 21/6/2008, e quel giorno il Sole transitava sul posto (λ: 13°38'29.3" E) alle 13:07.
Si
vede bene come non solo la sfera dello gnomone ma il tubo e tutto il tratto polare dello stesso siano allineati col meridiano: be’, la foto è stata scattata
proprio alle 13:07.
Riguardo alla seconda funzione (calendario), invece, si guardi la foto di
fig. 44, scattata nel giorno del solstizio estivo (in effetti solo un minuto dopo la precedente).
Considerando che il Sole in quel momento si trovava ad un’altezza di 70.61° sull’orizzonte e che la sfera ha un diametro di 40 cm e che la
superficie del semi-quadrante è inclinata di 0.37° sul piano orizzontale nella direzione del meridiano, l’ombra ellittica della sfera, al netto
della penombra, cioè geometricamente, teoricamente sarebbe dovuta essere lunga, sull’asse maggiore, 42.3 cm.
Disegnando sulla foto l’ellisse (dimensionandola anche grazie all’immagine del metro steso a terra), ne individuiamo il centro
(perché in ultima analisi è quello che dobbiamo considerare), rappresentato dal puntino blu vicino alla
misura (non corretta, ma senza importanza) dei 20.4 cm.
Be’, riferendoci al puntino, se tracciamo l’ipotetico asse della fascia solstiziale (di cui si vedono due tratti in foto, sopra e sotto la fascia
della meridiana), che attraversi verticalmente la foto, vediamo che sfiora il puntino, anziché toccarlo, passandogli circa tre millimetri più a
sinistra: ciò vuol dire che c’è stata un’imprecisione nel pavimentare le lastre, posate 3 mm troppo a nord…
Oppure, considerando la cosa da un altro punto di vista, possiamo
esprimere la condizione dicendo che l’errore in quel punto, lungo quel tratto di linea diurna, è di meno dello
0.05%,
considerando che la lunghezza d’ombra dello gnomone in quel punto sfiora i 6.50 m.
Non è certo il caso di farne un dramma, però, perché come stiamo per vedere non si tratta di un errore che si amplifica con l’allungarsi dell’ombra,
coll’aumentare della distanza dallo gnomone, anzi…
Facendo infatti una verifica in condizioni sensibilmente diverse, dall’altra parte dello schema, sei mesi dopo, al solstizio d’inverno, sempre intorno al mezzogiorno, quando le ombre
non sono troppo lunghe, abbiamo riscontrato un’accuratezza in linea con quanto sopra (fig. 45).
Tenendo conto della distanza più che raddoppiata dell’ombra della sfera dal corpo della stessa, si vede subito quanto siano più sfocati i confini
dell’ellisse d’ombra e di conseguenza quanto sia più incerta e difficile la rilevazione della forma, dell’estensione e della misurazione di quella.
Per questo motivo ci siamo dovuti aiutare con uno strumento, come un filtro grafico con cui abbiamo cercato di accentuare ed evidenziare il bordo
dell’ombra, esasperando luminosità e contrasto dell’immagine (fig. 46).
Tracciando il probabile perimetro ellittico dell’ombra passante lungo i bordi di quella come risaltano sullo sfondo più chiaro del travertino delle
lastre e della malta delle fughe (trascurando il disturbo causato dalle aree più scure del porfido), possiamo individuare con una buona
approssimazione il centro dell’ombra e quindi il riferimento da considerare.
Be’, anche in questo caso possiamo stimare uno scarto tra la posizione effettiva e quella corretta (sull’asse della curva solstiziale) contenuto tra
il mezzo centimetro ed il centimetro.
Considerando che qui l’ombra è lunga quasi 15 m la precisione riscontrabile è coerente con quella vista in estate, oscillando l’errore tra lo 0.07%
e lo 0.03%, perciò mantenendosi mediamente sullo 0.05%.
Concludendo
questo resoconto vorremmo aggiungere che siamo soddisfatti del
lavoro svolto, oggettivamente più complesso ed impegnativo rispetto
a quello che eseguiamo di solito, e per quest’opportunità siamo
grati ai colleghi tecnici ed all’amministrazione comunale di
Folignano.
Nel redigere un progetto come questo abbiamo affrontato aspetti
tecnici molto interessanti e stimolanti, che ci siamo impegnati con
grande interesse ad approfondire e sviscerare.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti e ci gratifica vedere il
nostro quadrante usato non solo come piazza, come arena, come
terrazza ma anche come uno strumento didattico, quando bambini ed
adulti si soffermano ad osservare il lento ma inesorabile scivolare
delle ombre tra le linee, i numeri, i simboli, scandendo ora dopo
ora e giorno dopo giorno lo scorrere del tempo, in quel gioco di
riflessi incessante tra la Terra ed il Cielo.
SCHEDA TECNICA
Luogo
Latitudine: 42°49'52.1" N Longitudine: 13°38'29.4" E
Quadro
Zona ovest
Zona est
Incl.: 89.2°;
Decl.: 64.1° E
Incl.: 89.4°;
Decl.: 19.9° E
Misure quadrante: 22 m × 23 m
Gnomone
Tipologia: stilo polare
Lunghezza: 662 cm
(Ortostilo ovest: 450 cm; Ortostilo est: 452 cm)
Diametro tubo: 20 cm; Diametro sfera: 40 cm
Ciascuna immagine è stata ottenuta scattando a mano (senza cavalletto né testa panoramica) più fotografie, poi
“ricucite” con un programma apposito.
Eventuali “sbavature” nelle transizioni tra foto adiacenti sono da imputarsi all’aver operato a mano (spostando perciò involontariamente il punto di
vista), in una sessione di ripresa improvvisata.